WIRED: “FRANCESCO RUTELLI CI HA SPIEGATO IL FUTURO DEL CINEMA ITALIANO”

Wired ha intervistato il presidente ANICA Francesco Rutelli

L’ex sindaco di Roma ed ex ministro della Cultura da tre anni rappresenta produttori e distributori cinematografici in una fase di modernizzazione. Lo abbiamo incontrato e ci ha posto una domanda provocatoria: “Netflix ci sarà ancora tra quattro anni?”

 

Dal 2016 Francesco Rutelli è il presidente dell’Anica, l’associazione che riunisce produttori e distributori cinematografici italiani (più molti altri soggetti, ma ci arriviamo). È un ruolo eminentemente politico fino a oggi ricoperto a turno da produttori o distributori. Rutelli invece è stato nominato in un momento politicamente cruciale per il cinema e l’audiovisivo italiano. Gli anni dal 2016 al 2019 sono stati infatti quelli della lavorazione e poi approvazione della più importante legge di sistema che regola cinema e tv, la legge Franceschini (un lavoro così grande che ancora non è del tutto terminato). L’operato di mediazione e rappresentazione delle parti ha così soddisfatto i soci Anica da indurli a rinnovare il mandato.

 

Da sempre stato un amante del cinema, in particolare dei film di James Bond (sostiene di non essersi mai perso un capitolo nelle prime 24 uscite (ndr) e di aver avuto come sogno da bambino di fidanzarsi con la figlia del produttore di quei film, Albert Broccoli): “Adesso stanno girando il nuovo a Matera”, dice, “è incredibile, l’ho detto a Giuseppe Conte che non lo sapeva, gli ho detto di vendersi quante produzioni importanti vengono a girare da noi”.

 

Come è messo il cinema rispetto alle altre industrie culturali?

“Considera che il campionato di calcio ha staccato nell’anno passato circa 9 milioni di biglietti, ed è meno dei biglietti staccati per il cinema nel solo mese di aprile. Il numero di persone che entra in un anno nei cinema è superiore a quello che si registra in tutte le altre forme di spettacolo messe insieme, dai teatri, ai concerti, al calcio. Eppure la sala rappresenta solo il 2% del totale delle visioni di un film. In un anno solo in televisione (generalista, lineare, senza considerare le piattaforme on demand) hai qualcosa che assomiglia a 5 miliardi di visioni di un film.

“È prioritario quindi mettere insieme le diverse parti dell’industria: dalle sale, ai broadcaster tv, agli operatori digitali. La vera novità qui dentro è stato iniziare a far entrare soggetti inaspettatamente diversi dai tre filoni storici, tradizionali (produttori, distributori e industrie tecniche). Sono entrati Viacom e TurnerChili e Timvision che sono oggi il Tvod (Transactional Video on Demand) e lo Svod (Subscription Video on Demand) italiani. In comune hanno l’interesse a far sentire la propria voce al regolatore, in modo da contare di più e rafforzare industrie che creano lavoro importante e contribuiscono all’immagine e al valore dell’Italia. Abbiamo realizzato col Centro studi Confindustria un’inchiesta in cui emerge che l’industria audiovisiva è un settore che più degli altri dà lavoro a giovani, a donne ed ha un valore aggiunto generato ai massimi livelli tra tutti i comparti produttivi italiani, terzo per grandezza in Europa”.

 

La nuova legge cinema è stata approvata, cosa deve ancora cambiare per il cinema?

“Proprio per le ragioni espresse prima, la vera priorità sono gli obblighi di programmazione e investimento da parte dei broadcaster. Abbiamo dialogato col ministro e la sottosegretaria del MiBAC con delega al cinema Lucia Borgonzoni e, nonostante qualche ritardo, le nuove quote entreranno in vigore dal 2020. Poi stiamo lavorando sulla destagionalizzazione: non è possibile che da noi il cinema si fermi da maggio ad agosto, e non c’entra il caldo se pensi che in Spagna non c’è questo problema. Qui serviva innanzitutto un accordo tra le parti (a partire dalle major americane che possono far uscire i blockbuster d’estate anche in Italia, fino agli italiani, timorosi coi loro prodotti sul filo della riuscita economica), e i primi risultati in questo 2019 si vedono.

“Infine abbiamo avviato un ripensamento e una flessibilizzazione delle finestre d’uscita, in modo che non tutti i film debbano stare in sala tre mesi prima di passare allo sfruttamento successivo, abbiamo fatto in modo che film che non hanno grandi ambizioni di botteghino possano avere finestre ridotte e arrivare più rapidamente in tv e sulle piattaforme. È un piccolo passo ma importante, anche per contrastare la pirateria”.

 

A oggi i film escono prima in sala per poi diventare noleggiabili o trasmissibili in tv dopo diversi mesi. Quanto manca a che i film escano contemporaneamente in sala e online? Netflix ci sta provando da un po’…

“Vista la velocità dei cambiamenti in corso è impossibile dirlo. A mio avviso le sale sono imprescindibili e lo rimarranno, per godere di un film, e non solo; inoltre, chiunque voglia fare un evento ha bisogno di una sala. È evidente, però, che avvicinare sala e fruizione sui device, o nelle smart tv nel salotto di casa, potrà pure ridurre i crimini informatici. Se uno vuole vedere un film senza pagare, purtroppo ci riesce e questo va combattuto e sanzionato. Se vogliamo avere argomenti risolutivi contro la pirateria dobbiamo rendere i meccanismi di fruizione commisurati al suo timing, ma capisco che queste cose si decidono in America”.

 

Nel senso che prima o poi lì i film usciranno online assieme alla sala per far concorrenza alla loro versione piratata?

“Noi abbiamo fatto un passo utile in termini di flessibilizzazione di queste finestre di sfruttamento, ma un giorno scopriremo che si sono accordati produttori, distributori, canali tv, sale e piattaforme streaming americane per uscire in tempi diversi da oggi e allora ci daremo una regolata anche noi”.

 

Tra quanto?

“Non ne ho idea, secondo me prima ci deve essere l’assestamento industriale. Quanti campioni resteranno in piedi nello streaming tra Netflix, Amazon, con l’arrivo di Apple, Google, con le grandi aggregazioni e lo sbarco sul web di Disney e le altre major Usa?”

 

E invece le sale? Resteranno ancora a lungo con noi?

“Il ruolo della sala è destinato a cambiare perché è inevitabile ed utile che al cinema si vedano altre cose, come la prima della Scala, una partita di calcio se sei lontano dallo stadio, il concerto di Vasco che è tutto esaurito”.

 

Ma in realtà le sale sono sempre meno nelle città e sempre più nella periferia o in provincia.

“È un enorme problema urbanistico e di vincoli; ma tra la sale che funzionano ci sono quelle ristrutturate nei centri cittadini, come l’Anteo a Milano”.

 

È vero ma questo è un trend? Perché il trend che vedo io è quello di sale che chiudono in centro e aprono in periferia. Quelle che riaprono in centro modernizzate ci sono ma costituiscono una grande minoranza

“Sono d’accordissimo, è una battaglia da fare imprescindibile perché la mano pubblica avrà sempre meno soldi per costruire un piccolo auditorium o un centro polifunzionale”.

 

Chili e Timvision sono entrati in Anica. Avete incontrato Netflix?

“Sì più volte, ho parlato sia con il Ceo Reed Hastings qui a Roma che poi Dean Garfield, che è uno dei vice che si occupa di policy, ma ora sta per arrivare un manager italiano, perché finalmente la legge prevede che debbano avere sede e dipendenti da noi per accedere ai meccanismi di legge che gli riducono sensibilmente le quote di investimento.

“La cosa di cui abbiamo parlato di più è stata la formazione e sono stati assertivamente positivi. Abbiamo bisogno, in Italia, di formazione orientata al mercato internazionale di produttori, sceneggiatori, star ma anche marketing per il supporto di star e talenti, aggiornamento dei nostri formidabili mestieri artigiani. Ma tutto nell’interesse generale, non di un singolo player. Che, certo, potrà beneficiarne come tutti”.

 

Società come Netflix o Amazon, però, saranno comunque i primi beneficiari di questa formazione, perché saranno quelli da cui tutti quanti vorranno essere presi. Visto il loro business, non crede che un vantaggio per loro non si tramuti a cascata in un vantaggio per altri soggetti come distributori o sale?

“Dobbiamo collaborare con tutti i soggetti possibili a patto che tutti i partecipanti possano attingere con le loro offerte alle nuove leve. Chi partecipa quindi sa che vale per tutti non solo per Netflix“.

 

Ma il mercato spingerà tutto nella direzione dei grossi che saranno i principali beneficiari…

“Be’, se il mercato spingerà verso le super-concentrazioni, allora tutto il sistema produttivo italiano ne patirà, anche le tue scarpe”.

 

Sì, però possiamo sapere già da ora che finiranno a beneficiarne di più, che poi è il motivo per cui Netflix aderisce, di certo non per beneficenza al cinema italiano…

“Ci sarà ancora Netflix tra quattro anni?”.

Magari no, ma come dice James Bond in Goldfinger, se pure dovesse morire, qualcuno verrà dopo di lui e saprà tutto quello che sa lui.

“Qua c’è la mia preoccupazione di fondo, che l’Italia come nella moda e in altri settori rimanga il paese in cui ci sono persone bravissime (i nostri non hai mai avuto tante offerte perché sono i migliori, dal tecnico delle luci, allo scenografo, al produttore esecutivo) ma la dimensione industriale non regga una concorrenza allo stesso tempo concentrata e senza regole”.

 

02/08/2019 – WIRED.IT

 

 

 

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