Il Presidente ANICA Francesco Rutelli al Sole24Ore: “Cinema italiano a rischio implosione, ritardi intollerabili dai Beni culturali”

 

L’INTERVISTA A FRANCESCO RUTELLI SUL SOLE 24 ORE
«La legge per il cinema è rimasta in buona parte lettera morta»

4 marzo 2020 

Un colpo durissimo. E che arriva proprio ora che le cose iniziavano a girare per il verso giusto. È una sensazione di impotenza mista a rabbia quella che percorre il mondo del cinema italiano, a tutti i livelli. L’emergenza coronavirus sa tanto di punizione di Tantalo per un settore che iniziava a vedere l`uscita dalle secche con un 2019 chiuso bene e buone prospettive per il 2020 anche grazie alla pratica, ormai sdoganata con il progetto “Moviement”, del fare squadra programmando uscite e cinema aperti anche nei periodi morti. Però, come nella più classica delle trame italiche, l’allarme contingente finisce per scoperchiare il vaso di Pandora. «Questa emergenza – spiega il presidente ANICA Francesco Rutelli al Sole 24 0re – cade su una situazione al limite dell’implosione». E per Rutelli gli indizi portano in una direzione: «All’interno del ministero dei Beni culturali ci sono ritardi insostenibili. La legge per il cinema e l’audiovisivo c’è da tre anni. Non è tollerabile che ancora interventi e risorse attendano di essere definiti. Abbiamo presentato al ministro Franceschini un documento con due pagine di proposte. E sa qual è il paradosso
Quale?
Che accanto a misure straordinarie per l’emergenza fra cui la sospensione degli obblighi contributivi previdenziali, la cassa integrazione in deroga, la sospensione di pagamenti di imposte e tributi, abbiamo chiesto di far funzionare la legge esistente. Che in buona parte è rimasta lettera morta.
E intanto ora si è in una situazione d’emergenza
Certo. Le cinque regioni interessate dalle ordinanze che impongono le chiusure degli esercizi cinematografici rappresentano il 45% degli schermi, con una quota di fatturato del 50% dell’intero settore. E i problemi hanno riguardato e riguardano tutta la filiera ovviamente: dai danni legati alla mancata uscita di prodotti già realizzati al blocco delle produzioni in essere, all’impatto sulle sale. È per questo che certi ritardi burocratici non sono più accettabili.
A cosa si riferisce in particolare? È singolare che lei dica queste cose proprio dopo l`arrivo di una legge ad hoc per il cinema
Infatti io non discuto la legge, che peraltro porta il nome di Franceschini, che allora come oggi è a capo del dicastero. Ma il Ministero ha uno struttura che fa molta fatica a stare al passo. Sono passati tre anni. Si sono avvicendati direttori generali e ora a capo della Direzione cinema e audiovisivo è ritornato Nicola Borrelli cui faccio auguri sinceri. Ma la struttura si è dimostrata inadeguata. Vuole qualche esempio?
Prego
Siamo fermi sul tax credit; dei contributi automatici non è stato erogato un euro; i contributi selettivi erogati sono fermi al 2017. Anche delle risorse per l’ammodernamento delle sale, circa 30 milioni all’anno fra 2017 e 2019, non c’è traccia. Eppure ci troviamo in un contesto competitivo popolato di colossi che stanno cambiando le regole del gioco e piattaforme che hanno modalità decisionali rapidissime.
Va detto che non sempre il settore si muove all’unisono
Questo in passato. Già da tempo ci muoviamo uniti. La vera realtà è che la legge è ottima, ma gli uffici sono fermi. E questa situazione rischia di dare un colpo letale a un settore che stava vedendo segnali di ripresa. Non si può perdere un solo giorno.
Oggi intanto esce nelle sale l’atteso film “Volevo Nascondermi” con Elio Germano nei panni del pittore Ligabue. Inizialmente era programmato per il 26 marzo ma Rai cinema e 01 Distribution hanno anticipato.
Appunto. Questo è un esempio di unità di intenti e senso di responsabilità. Ed è ovviamente un messaggio incoraggiante. Il settore sta facendo la sua parte. A livello istituzionale occorre cambiare marcia. Anche perché ci sono problemi enormi che vanno oltre l’ordinario e conseguenti all’emergenza coronavirus che mettono a rischio centinaia di imprese. E, per dirne un’altra, ai lavoratori delle troupe servono 120 giorni di lavoro per non perdere l’annualità contributiva. Il rischio per molti è enorme.


di Andrea Biondi 

 

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