Videoforum su Repubblica: “Che fine ha fatto il cinema italiano?”

24 settembre 2010

Presente Riccardo Tozzi, Presidente dei Produttori ANICA
Dopo Venezia, il punto sul cinema italiano. Ne hanno discusso al Videoforum negli studi di Repubblica Tv, condotto da Giulia Santerini e Maria Pia Fusco, i registi Marco Bellocchio, Saverio Costanzo (in concorso alla Mostra con “La solitudine dei numeri primi”), Giorgio Diritti, Paolo Virzì, il produttore Riccardo Tozzi; in collegamento da Milano Carlo Mazzacurati (che a Venezia ha portato “La Passione”) e Natalia Aspesi.

ROMA «In Italia di Somewhere se ne fanno tre, quattro ogni anno». Riccardo Tozzi, presidente dei produttori italiani, non è tenero nei confronti del verdetto della Mostra di Venezia. Da qui si parte per il Forum sullo stato del cinema italiano, ospitato da Repubblica Tv. E come spunto servono anche le riflessioni di Gabriele Salvatores, giurato a Venezia, che non tutti hanno gradito. Il nostro cinema deve seppellire padri ingombranti come il neorealismo e la commedia all’italiana? Marco Bellocchio. «Voglio ricordare a Salvatores che il neorealismo è stato seppellito da Antonioni nel 1959 con L’avventura, quindi il discorso è privo di senso. Né ha senso quello sulla commedia all’italiana, un genere che ha creato tanti capolavori, e che comunque oggi è molto diversa da quella del passato. Voglio anche dire che ho visto i quattro film italiani in concorso a Venezia e sono tutti molto più belli di quello che ha vinto. Somewhere è un film mediocre, una pallida imitazione di Lost in translation ».
Natalia Aspesi. «Non sono d’accordo sul film della Coppola,è la storia di una bambina che si difende dalla separazione dei genitori, raccontata dal punto di vista femminile, forse per questo non piace agli uomini. È un film intimista, bello. Al nostro cinema manca sempre qualcosa per diventare grandee internazionale». Paolo Virzì. «Anche se questa cose dei padri ingombranti la dice spesso come frase ad effetto, credo che Salvatores non volesse criticare la commedia all’italiana, diventata patrimonio del cinema mondiale. Però in qualche maniera ci ha fatto discutere. I padri e i nonni del nostro cinema avevano una mitologia, sfidavano il teatro. Noi sfidiamo i media parcellizzati, Internet, non siamo al centro di una tavola imbandita». Carlo Mazzacurati. «Pensando a quello che eravamo e non siamo più, in questi anni chi racconta il paese di una volta trova riscontro con il pubblico, chi parla dell’oggi fa più fatica. Per fortuna Il divo e Gomorra hanno rotto questa cappa». Giorgio Diritti. «In Italia ogni anno ci sono sei o sette film interessanti. Forse non riusciamo ad avere il respiro magico di un tempo, ma potremmo arrivarci». Il ministro Bondi vorrebbe “mettere bocca” sulle giurie di Venezia perché siano più attente al cinema italiano… Saverio Costanzo. «La Mostra è un festival internazionale con una giuria internazionale. Perché dovrebbe vincere un film italiano? Mettere le mani sulla giuria significa uccidere il festival. Per me, per altro, Somewhere è un film splendido. Non capisco il campanilismo. Se mai, quattro film in concorso erano troppi, l’Italia è un paese con tanti festival, sarebbe meglio spargere i quattro, cinque film buoni su tutti i festival». È vero che nel confronto con film di altri paesi ci manca qualcosa? Mazzacurati. «L’Italia è stata molto simpatica all’estero, ora non lo è più. È un paese antipatico. Forse è anche questo un problema per il cinema italiano, non c’entra la qualità. Noi poi facciamo un’enorme fatica ad andare all’estero, non siamo rappresentati. Quando si tratta di olio o di vino l’Italia si mobilita, mentre secondo me nessuno è andato alle riunioni europee sul cinema». Virzì. «Siamo davvero antipatici? Io ho riscontrato il contrario all’estero. Una sceneggiatrice di Sex and the city mi ha perfino detto “Beati voi che potete fare un cinema libero. Noi dobbiamo puntare sul sicuro, possiamo sperimentare solo in tv”». Tozzi. «Non siamo simpatici neanche a noi stessi… In realtà in Francia e in Germania ad esempio si parla molto bene di noi, ci invidiano i nostri attori, non solo Toni Servillo ed Elio Germano, ma tutta una nuova generazione. Sembra schizofrenia: all’estero sentiamo certe cose, rientriamo e abbiamo Brunetta e la stampa negativa». Allora perché è difficile uscire dall’Italia? Tozzi. «Abbiamo buoni film e abbiamo brutte strutture. La promozione dei nostri film all’estero non c’è mai stata, neanche quando c’era una struttura addetta che però non aveva i mezzi necessari. E non ci sarà, sarà un lavoro che dovremo fare da soli, noi produttori, gli autori». E il mercato interno? Tozzi. «Il cinema italiano alla fine degli anni 90 era quasi morto. Oggi siamo al 30% del mercato, come in Francia, dove c’è una politica di protezione, mentre noi abbiamo Brunetta e Bondi. Le presenze aumentano e ricordo che se il 3D ha un prezzo maggiorato, il biglietto per i film italiani è fermo al tempo dell’arrivo dell’euro. Ci siamo lasciati alle spalle gli anni 90, abbiamo ricucito il rapporto tra autori e produttori, ritrovato il legame tra autori e la narrativa italiana, ricostruito lo star system, si è tornati ai generi. Il cinema italiano ha ristabilito il rapporto con il suo pubblico, nel recupero del consumo in sala si alza la quota del nostro cinema». Che peso hanno Medusa e RaiCinema nella produzione? Bellocchio. «Il duopolio in questo momento strozza il mercato. L’Italia sarà anche antipatica, ma io voglio raccontarla, voglio raccontare i giornalisti, una categoria interessante, e i politici. Rai e Mediaset me lo permettono? O bisogna ricorrere alle metafore? Negli anni del potere democristiano tutta la politica accettava il cinema che aveva come riferimento la sinistra». Tozzi. «Oggi tutte le politiche sono estemporanee, di destra o di sinistra, anche se quelle di destra di più. Il problemaè che le tv hanno abbassato i prezzi e non sono più interessate al cinema. Da una parte la Rai produce – e spesso non manda in ondai film prodotti come Gomorra – dall’altra è più orientata verso la fiction e i reality. La tendenza è di tutte le tv del mondo». Aspesi. «Credo che le televisioni non abbiano più interesse a trasmettere film, perché molte serie, soprattutto americane, sono molto più interessanti e avanzate del cinema». Tozzi. «Il futuro del cinema sarà la salae Internet, ma ci dobbiamo arrivare vivi e per farlo le tv devono trasmettere i film. Il cinema italiano perde 600 milioni all’anno per la pirateria, il mercato nero equivale a quello regolare. Da una parte sono triste, dall’altra mi rallegro perché c’è un mercato potenziale, il cinema italiano piace. Dobbiamo trasformare i pirati in clienti. Siamo tutti colpevoli per il ritardo con cui ci muoviamo, c’era l’idea di Internet come l’agorà, libera, se fai pagare sei capitalista. Se facciamo un’offerta ragionata, con facilità di scaricare, la gente ci seguirà come ha fatto con la musica, che ha visto fallire la sua industria per il ritardo nel capire la situazione. Stiamo lavorando al progetto, speriamo di farcela entro l’anno. Un cinema che vive di sale, di dvd e di Internet sarà un cinema libero». Che conseguenze avrà l’abbassamento dei finanziamenti statali? Diritti. «Il mio film Il vento fa il suo giro non sarebbe venuto alla luce senza il fondo di garanzia. Sono molto critico sulla scelta di limitarlo alle opere prime e seconde, sono le solite decisioni con l’accetta, senza buon senso. Andrà a discapito di progetti dal budget intermedio. La politica ha la sua responsabilità, il cinema non è un valore per l’Italia, si sostengono i frigoriferi e le auto, il cinema no. Ma non è più emozionante vedere un film in sala piuttosto che stare a guardare un frigorifero e una lavatrice?». Quanto è difficile fare il film d’esordio? Costanzo. «Per me è stato tragico: ipotecammo una casa per fare Private. Ho l’immagine di produttori che mi guardavano spaesati, con gli occhi come di vetro. Non era una proposta facile, ma non costava. Alla fine facemmo da soli, in totale libertà, con un costo di 150 mila euro. Niente». Scrivendo un film pensate anche a che pubblico destinarlo? Bellocchio. «Spero sempre che ci vada tanta gente, poi cerco di fare il film giusto per me. Il pubblico deve scomparire altrimenti diventi pazzo, devi andare per conto tuo, naturalmente con responsabilità». Mazzacurati. «Il vero problema ce lo poniamo più noi autori. Forse il rischio di questo cinema è che a volte si autocensura per cercare di piacere. Come quando nei cartoni animati corri nel vuoto poi guardi giù e cadi. Credo che più c’è libertà, più si arriva alle persone. Il rischio è per gli esordienti quando sono troppo attenti al pubblico che si è creato il gusto con la televisione». Virzì. «Io penso a tante persone, ho in mente una platea, c’è mia figlia, la professoressa delle medie, mia mamma… Dopo un po’ lo dimentico. Ma mi piace anche fare un film per qualcuno. Quando mia figlia mi ha parlato bene di un film di Muccino, ho fatto Caterina va in città per riconquistarla». Se poteste fare un film sull’attualità più calda? Bellocchio. «Apri il giornale e ci sono cinque soggetti. Io ce l’ho un film sull’oggi, si chiama Italia mia ». Costanzo. «Dovremmo davvero fare una cosa sull’Italia di oggi senza ricorrere a metafore, forse abbiamo paura di essere giudicati. Ci sto pensando, sono passato da un musical su Berlusconi a cose molto più intime ma nello stesso tempo politiche. Bisogna trovare l’immagine giusta». Mazzacurati. «In ogni film che facciamo cerchiamo di assorbire il senso dell’umore del tempo. L’Italia degli ultimi 15 anni meriterebbe un romanzo ottocentesco, che ancora non è stato fatto. Ma forse c’è bisogno di sedimentare». Diritti. «Il gioco potrebbe essere raccontare l’Italia che avremmo potuto avere in questi anni e che non abbiamo avuto: gente di buona volontà che lavora e che lotta. La gente che nessuno vede».
(fonte La Repubblica)

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