Intervista a Francesca Cima sul Corriere della Sera (L’Economia)

«Il pubblico c’è e vuole qualità. Ora diventiamo industria»

I dati sul pessimo andamento dell`anno cinematografico appena concluso hanno acceso polemiche e recriminazioni. Sul banco degli imputati, in prima fila, ci sono i produttori italiani che seguirebbero strade troppo prevedibili («sempre le solite commedie») e troppo prone alle destinazioni televisive (Rai, Mediaset e Sky, di fatto i veri «finanziatori» del cinema italiano). Ne parliamo con Francesca Cima, socia di Indigo e presidente dell`Associazione produttori che conosce molto bene i problemi di tutta la categoria e del cinema italiano in generale.
«È vero, l`anno appena concluso ha avuto un andamento molto negativo – ci dice -. Eppure non mi sembra che la situazione sia così tragica». Si spieghi. «La contrazione delle presenze non va minimizzata ma è un dato che riguarda il cinema in sala. Ci sono, o ci dovrebbero essere, molti altri modi di fruire cinema. Per fare solo un esempio, il 1° gennaio, 38 milioni di italiani hanno guardato film in televisione, il che dimostra come il cinema sia ancora centrale nell`attenzione degli italiani. Per chi lo produce non è una brutta notizia».
Resta il fatto che il pubblico della sala è decisamente in crisi. «Per questo penso che la domanda che tutto il mondo del cinema dovrebbe farsi è un`altra: come offriamo i nostri film? Siamo sicuri che i modi seguiti fino ad ora non vadano rivisti? Si calcola che in Italia ci siano state 400 milioni di transazioni illegali, cioè piratate, nel 2017, contro solo 20 milioni legali, cioè a pagamento. Evidentemente c`è un pubblico che vuole vedere cinema (quei numeri si riferiscono ai film, non alle serie), altrimenti non ci sarebbero quei 400 milioni di illegalità, ma è un pubblico che non siamo stati capaci di intercettare. E questo è vero sia sull’offerta in sala che sulle piattaforme».

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È così anche nel resto d`Europa? «Assolutamente no. Altrove c`è stata una diversa educazione alla legalità ma è altrettanto vero che si è fatto moltissimo per ampliare l`offerta, soprattutto quella che potrebbero interessare un pubblico di qualità. Da noi quei titoli spariscono in brevissimo tempo dalla programmazione e non tornano più. In questo modo è come se incitassero il pubblico a darsi alla pirateria». Come passare dalle lamentele ai fatti. «Per dare rilievo alla sala che è e rimane centrale bisogna prendere in considerazione non solo la produzione ma anche i percorsi di distribuzione, di comunicazione e commerciali. Resta il fatto che quando nel mercato arrivano titoli di qualità il pubblico se ne accorge e risponde, come è appena successo con “Napoli velata” e “Come un gatto in tangenziale”: è un`ulteriore prova che i film in sala attraggono ancora. Certo è che dovremmo rimettere in discussione i metodi con cui abbiamo costruito i nostri percorsi commerciali, non valorizzando a dovere quello che può succedere dopo il passaggio in sala ». A proposito di questa rarefazione del pubblico, l`esperienza dice che spesso sono proprio le pratiche distributive a frenare la diffusione, imponendo teniture capestro e contrastando la multiprogrammazione. «L`attuale mercato è molto condizionato da due fenomeni che si sommano: uscita di tanti titoli a settimana e una stagione molto corta (che esclude l`estate) dove tutti cercano di ricavare in pochi giorni il massimo del risultato. Dobbiamo agire al contrario: cercare di limitare il numero di film in uscita ogni settimana (in questo il cambiamento delle finestre che regolamentano la diffusione sui vari mezzi, dal dvd alle tv, e una diversa valorizzazione dei diritti successivi alla sala potrebbero aiutare a togliere dalla sala molti film) e favorire la domanda del pubblico quando gradisce un film. Il passaparola spesso non ha modo di agire perché quando si attiva il film non c`è più». La nuova legge Franceschini ha facilitato l`accesso al finanziamento. Non c`è il rischio che si ingigantisca uno dei difetti della nostra produzione: l`eccessivo numero di film italiani (l’anno scorso 218) che poi spariscono subito dagli schermi o nemmeno arrivano? «È un rischio che la nuova legge dovrebbe contrastare, favorendo l`innalzamento della qualità e legando gli investimenti ai risultati. Attraverso i decreti attuativi si è lavorato perché ci fossero più risorse da distribuirsi tra un minor numero di opere e permettere l`aumento dell`investimento medio per ogni film, che nel 2016 era stato di un milione e 800 mila euro: troppo poco rispetto alle medie europee». E all’estero come se la passa il cinema italiano? Abbiamo fatto passi avanti da quando l`unico nome che si poteva esportare era quello di Moretti? «Diciamo che stiamo risalendo la china. I nostri film oggi circolano molto di più, anche se siamo ancora lontani da una situazione pienamente soddisfacente, come è quella della Francia, naturalmente, ma anche della Germania, che ha investito nelle coproduzioni. Altri Paesi hanno investito su altri settori: il Belgio sulla post-produzione, Israele sulla serialità. Noi siamo rimasti fermi per troppo tempo: adesso dovremmo avere gli strumenti per cominciare a muoverci». Ma il fatto che la legge equipari cinema e audiovisivo (cioè prodotti per la
televisione) non rischia di trasformarsi in un handicap?
«La separazione tra cinema e tv non ha mai fatto bene a nessuno. Il nostro scopo, come produttori, è quello di avere un`industria sempre più efficiente e competitiva e gli stimoli possono venire da tutti i suoi componenti, dalle idee, dalle occasioni produttive, dallo sviluppo delle tecnologie e dei materiali. E naturalmente da quello delle risorse umane: un regista, un attore, uno sceneggiatore, un tecnico che alterna prodotti cinematografici e prodotti televisivi impara da tutti e migliora sempre».

di Paolo Mereghetti

CORRIERE DELLA SERA L’Economia – 22 gennaio 2018

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