HABIB (Presidente Produttori ANICA) a Repubblica: Italiani non tornano al cinema, siamo in allarme -Troppe case di produzione vendute all’estero

19 maggio 2022

 

Benedetto Habib: “Gli italiani non tornano al cinema, siamo in allarme. Troppe case di produzione vendute all’estero”
Intervista di Repubblica al Presidente dell’Unione Produttori ANICA (di Aldo Fontanarosa)

 

Il presidente dei Produttori ANICA indica due emergenze del settore. Nelle altre Nazioni europee – spiega – le persone stanno riscoprendo il gusto della sala, da noi molto meno. “E manca un campione nazionale capace di competere a livello internazionale con le altre aziende”

ROMA – I produttori nazionali di film e fiction vedono due grandi buche sul loro cammino. Intanto, le italiane e gli italiani stanno tornando nei cinema, certo, ma lo fanno molto meno che negli altri Paesi. L’obbligo di tenere la mascherina in sala – che ancora vige qui da noi – spiega il fenomeno, ma non pienamente.

Su tutt’altro fronte, quello industriale, continua a mancare un campione, un gigante nazionale delle produzioni. E il rischio è che aziende estere, proprio perché più grandi, possano continuare a comprare indisturbate nostre imprese gioiello, come è successo nel 2017 con Cattleya, nel 2019 con Palomar, nel 2022 con Groenlandia.

Benedetto Habib, presidente dell’Unione Produttori dell’Anica. Gli italiani stanno voltando le spalle alle sale cinematografiche?
“E’ così. Stiamo faticando a riportare le persone in sala. Ci sono grandi film americani e blockbuster che riescono ad attirare tanti spettatori, restituendoci i numeri precedenti alla pandemia. Poi, però, ci sono dei titoli medi, sia internazionali che italiani, che proprio non riescono. Siamo indietro, da questo punto di vista, rispetto a Paesi come la Francia o la Germania”.

Quali sono i motivi? Le persone hanno ancora paura di contagiarsi?
“Forse tante persone si sono disabituate ad andare al cinema. L’obbligo di tenere la mascherina può scoraggiare a spendere del tempo in sala. Certamente si sono moltiplicate le piattaforme che permettono di vedere film e fiction in casa propria. E queste piattaforme hanno attinto a un patrimonio di attori, registi, scrittori – per le loro produzioni – che prima era ad appannaggio solo del cinema”.

Voi volete invertire la tendenza. Ma come si può fare?
“Le famose finestre possono aiutare, purché ragionevoli nella durata. Proprio in queste ore il ministero ha reintrodotto la regola che permette alle televisioni di proporre un film solo 90 giorni dopo il suo arrivo in sala. E’ una durata ragionevole, che aiuta le sale cinematografiche a mantenere la precedenza nel lancio dell’opera senza penalizzare gli altri soggetti della nostra filiera produttiva, come le tv”.

Quindi questa norma va bene.
“Non condividiamo la pressione che alcuni soggetti stanno facendo perché la finestra – tra cinema e tv – sia dilatata addirittura a 120 giorni. Alcuni produttori, di fronte a finestre così lunghe, potrebbero bypassare la sala, distribuendo il film solo sulle piattaforme web o sulle televisioni. Sarebbe un clamoroso effetto boomerang. Preciso che l’attuale finestra di 90 giorni – ragionevole, equa – vale solo per le produzioni italiane finanziate con il tax credit e il credito d’imposta, e non per i titoli stranieri. Questo è sbagliato: andrebbe estesa a tutte le produzioni, incluse quelle straniere”.

Altre idee per aiutare le sale?
“Certamente dobbiamo alzare l’asticella sulla tipologia di prodotto. Bisognerà spingere su film che si muovono su altri generi, che hanno budget più importanti, la cui uscita in sala sia percepita come un evento quasi imperdibile”.

Siamo in estate. Nei cinema all’aperto, per tornare al punto, la mascherina non servirà.
“In Italia, storicamente, noi abbiamo avuto un problema di stagionalità. Al cinema si andava in autunno e inverno; meno in primavera e in estate. Fin dal 2019, ci siamo impegnati a proporre titoli accattivanti nell’arco di tutti e dodici mesi. Dobbiamo ripartire da lì. E poi è arrivato il momento di affidare le fortune del cinema italiano anche ai dati”.

I dati? In che senso?
“Serve un monitoraggio attento sul pubblico delle sale e sui suoi comportamenti. I produttori francesi realizzano indagini capillari con cadenza settimanale. Mettono in campo, cioè, una specie di auditel del pubblico che va in sala; questo, per avere idee precise sull’età degli spettatori, sui loro gusti, sulle motivazioni che li portano e li riporterebbero nei cinema. I dati sono importanti. In Italia, ad esempio, noi potremmo sospettare che i giovani abbiano voltato le spalle alle sale, mentre non è così. Al contrario, loro sono tornati, anche perché attratti dal seguito di Doctor Strange e da Spider Man, solo per citare due titoli ad alto richiamo. Sono semmai le persone di età media o alta a mancare all’appello”.

Da dove ricava queste informazioni sui giovani e i meno giovani?
“La società Cinetel, che è partecipata da Anica Servizi, ha realizzato una prima ricerca a campione, per una settimana. La ricerca ci ha fornito uno spaccato estremamente interessante della situazione, forte anche di elementi sul gradimento dei film visti. Dati di dettaglio sugli spettatori, se immessi in una serie storica lunga, ci fornirebbero una bussola importante, aiutandoci a decidere una corretta rotta di marcia”.

Dopo la pandemia, com’è la situazione della rete distributiva? Hanno chiuso molte sale?
“Fino a poche settimane fa, la maggioranza dei cinema ha tenuto. Ma ora avvertiamo dei problemi, degli scricchiolii. L’afflusso del pubblico, a pandemia arginata, non è ai livelli che auspicavamo, come dicevamo. Alcune sale sono riuscite a risalire la china. Hanno una specificità, un’identità editoriale spiccata e sono state più veloci a ritrovare il loro pubblico. Altre faticano di più”.

Che momento attraversa il mondo italiano della produzione?
“E’ un periodo molto buono perché la legge sul cinema ha innescato meccanismi virtuosi e mobilitato incentivi rilevanti. C’è sviluppo, c’è lavoro, si è creato un indotto interessante. Teniamo conto che questa è un’industria vera. La produzione audiovisiva vanta il moltiplicatore più alto dopo quello dell’edilizia. In altre parole, ha la maggiore capacità di creare valore aggiunto per ogni euro investito”.

Quindi le nostre imprese produttive stanno crescendo molto.
“Non abbastanza. E tocchiamo un tasto dolente, perché si sta allungando la lista delle società italiane acquisite da soggetti esteri. Ora, attenzione: io posso anche essere favorevole a questo tipo di investimenti. Vorrei però che l’Italia favorisse la nascita di almeno un’impresa grande, aggregante, che assumesse dimensioni industriali più solide. Sogno un campione nazionale capace di comprare delle aziende all’estero, invece di essere bersaglio dell’ennesima acquisizione per mano straniera. Noi abbiamo tante splendide realtà di dimensioni medie e o piccole. Quando le vendiamo, trasferiamo all’estero un patrimonio di conoscenze e di professionalità, oltre a cataloghi di contenuti importanti”.

Può fare qualche esempio?
“Quando l’inglese ITV Studios ha comprato Cattleya, ha preso anche Gomorra. Quando i francesi di Mediawan hanno conquistato Palomar, dentro ci hanno trovato Montalbano. Quando gli inglesi di Fremantle, controllati dai tedeschi di Bertelsmann, hanno preso Wildside, dentro c’era anche The Young Pope. L’ultimo esempio è Banijay, sempre francese, che ha appena fatto shopping qui in Italia comprando Groenlandia, cui dobbiamo Smetto quando voglio e L’isola delle rose, solo per citare due film molto amati. Ecco: tutto questo merita una risposta, in termini di politica industriale”.

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